TANGO
Mi son visto una notte
in una sala chiusa
e l'abbraccio dei corpi che danzavano,
sollevati e schiantati dalla musica,
sotto la luce livida
che filtrava nei muri, di lontano,
mi soffocava il cuore
come in fondo a un abisso, sotto il buio,
tra bagliore e bagliore,
giungono spaventose
scosse di una tempesta,
che impazzisce là in alto, sopra il mare.
Mi giungevano a tratti,
pallide e stanche,
le ombre dei danzatori,
vibrazioni di un mare moribondo.
E vedevo i colori,
delle donne abbraccianti
illividirsi anch'essi,
e tutto rilassarsi
di spossatezza oscena,
e i corpi ripiegarsi,
strisciando sulla musica.
Solo ancora splendeva
su quella febbre stanca
il corpo di colei
che fiorisce in un volto
tanto giovane e chiaro
da fare male all'anima.
Ma era solo il ricordo.
Io la guardavo immobile
e la vedevo, dolorosamente,
nella luce del sogno.
Ma passava strisciando,
senza scatti più, languida,
con un respiro lento
e mi pareva un gemito d'amore,
ma l'uomo a cui s'abbandonava nuda
forse non la sentiva.
E un'ubbriachezza pallida
le pesava sul volto,
sul volto tanto giovane e stupendo
da fare male all'anima.
Tutti tutti tacevano di ebbrezza,
travolti dentro il gorgo
di quella luce livida,
posseduti di musica,
nelle carezze ritmiche di carne,
e stanchi tanto stanchi.
Io solo non potevo abbandonarmi:
cogli arsi occhi sbarrati,
mi fissavo smarrito
su quel corpo strisciante.
[23-26 giugno 1928]
(da “Le poesie”)Cesare Pavese
IL TANGO
Dove saranno? chiede l'elegia
Di quelli che non sono, come se
Vi fosse una ragione dove l'Ieri
Potesse essere Oggi, Ancora e Sempre.
Dove saranno (io ripeto) i teppisti
Che fondarono in polverose strade
Di terra o in dimenticati villaggi
La setta del coltello e del coraggio?
Dove saranno quelli che passarono
Lasciando all'epopea un episodio,
Una favola al tempo, e che senz'odio,
Senza guadagno o amore si assalirono?
Li cerco nella leggenda, nell'ultima
Brace che, a modo d'una vaga rosa,
Serba qualcosa di quei coraggiosi
Dei Corrales e di Balvanera.
Quali vicoli oscuri o che deserto
Nell'altro mondo abiterà la dura
Ombra di quegli ch'era un'ombra oscura,
Juan Muraña, il coltello di Palermo?
E quell'Iberra fatale (che i santi
Lo perdonino) che ammazzò su un ponte
Il Ñato suo fratello, che ne aveva
Uccisi più di lui, saldando i conti?
Una mitologia di pugnali
Lentamente si annulla nell'oblio;
Una canzone di gesta s'è persa
In sordide notizie poliziesche.
Un'altra brace, incandescente rosa,
E' nella cenere che li tramanda;
Son lì i superbi gli accoltellatori
E il peso della daga silenziosa.
Benché la daga ostile o un'altra lama,
Il tempo, li abbiano spenti nel fango,
Oggi, di là dal tempo e dall'infausta
Morte, quei morti vivono nel tango.
Nella musica stanno, nelle corde
Della chitarra dal suono ostinato
Che trama nella milonga felice
La festa e l'innocenza del coraggio.
Gira nel vuoto la dorata ruota
Di cavalli e leoni, e odo l'eco
Dei vecchi tanghi di Arolas e Greco
Che vidi già ballare sulla strada
In un istante che emerge isolato,
Senza prima né poi, contro l'oblio,
Ed ha il sapore di ciò ch'è perduto,
Di quanto è stato perso e ritrovato.
In quegli accordi sono antiche cose:
L'altro cortile e l'intravista pergola
(Dietro le sue pareti sospettose
Il Sud serba un pugnale e una chitarra).
Questa raffica o sortilegio, il tango,
Gli affaticati anni sfida; e l'uomo,
Fatto di polvere e di tempo, dura
Meno della leggera melodia
Che è solo tempo. Il tango crea un confuso
Irreale passato, forse vero,
Un assurdo ricordo d'esser morto,
Battendomi, a un cantone del sobborgo.
(da “Fervore di Buenos Aires”)Jorge Luis Borges
E ancora, sempre di Borges:
Senza vergogna, spigliato
guardavi in faccia e fiero
tango che fosti la gioia
d’esser uomo per davvero.
Tango che fosti felice
come sono stato anch’io
secondo quanto mi narra
il ricordo o l’oblio.
(da" “Alguien le dice al tango”)Jorge Luis Borges
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